Interpretazione
print this pageLa storia dei martiri d’Istia rientra a pieno titolo tra gli episodi di Resistenza civile, passiva e senz’armi, degni di esser ricordati come atti di disobbedienza che contribuirono a minare il prestigio, la coesione e il controllo del territorio da parte del fascismo repubblicano. La strage prettamente fascista di Maiano Lavacchio, organizzata dalle massime autorità locali per colpire individui alla macchia e non partigiani combattenti, non è imputabile ad un’eventuale errore nella catena di comando o ad un casuale ricorso eccessivo alla violenza. Si tratta invece di un episodio della “guerra totale”, tesa ad ottenere il pieno controllo del territorio con la logica del terrore preventivo, volto a reprimere ogni forma di dissenso alla R.S.I. ed a rompere il vincolo di solidarietà creatosi tra la popolazione rurale e i “ribelli” di ogni tipo. Il terrore doveva generare un clima di paura e sospetto, in grado di prevenire ogni forma di disobbedienza, ma in realtà sortì effetti opposti a quelli sperati dai fascisti. Questa vicenda rappresentò una sorta di spartiacque nella storia della Resistenza maremmana, perché suscitò un forte clamore, una vasta indignazione popolare e una maggior consapevolezza da parte dei giovani dell’epoca. Dopo la strage e in concomitanza con la più dura repressione scatenata dai fascisti a partire dalla primavera del ’44, le fonti concordano nel rilevare il sempre maggior insuccesso delle continue chiamate alla leva e il rafforzamento numerico delle bande partigiane. L’eccezionalità di questo episodio è confermata anche dal duro dibattito che si tenne nell’assemblea del fascio repubblicano di Grosseto del 26 aprile 1944, quando alcuni tesserati rilevarono il grave errore politico compiuto a Maiano Lavacchio, criticando apertamente l’operato delle più alte cariche del P.F.R. locale. Per tali rimostranze il fascista Vezio Vecchi fu tenuto in stato di arresto per 20 giorni, mentre il rag. Ugo Salvatici fu tacciato di disfattismo e sottoposto a sorveglianza. Perfino la più importante fonte fascista sulla strage di Maiano Lavacchio, il volume del ten. della G.N.R. Vito Guidoni “Cronache grossetane”, non esita a definire l’episodio come “il più grave episodio della lotta armata nella provincia”, che provocò fratture all’interno dello stesso ambiente fascista. L’uccisione di giovani vite innocenti nocque al fascismo repubblicano grossetano, che perse consenso e credibilità tra la popolazione, smarrita di fronte a tanta crudeltà.
La storia di questa strage e il suo vissuto popolare, inoltre, si discostano nettamente dai casi di “memoria divisa”, che riguardarono molte comunità contadine coinvolte in altri eccidi verificatisi in Toscana e nel resto della penisola. In numerosi casi, nel ricordo popolare e non solo, le stragi nazifasciste sono state lette come diretta conseguenza dell’attività partigiana, con le responsabilità equamente spartite fra gli autori materiali e i “provocatori” a monte. A chi ha sostenuto e sostiene le ragioni della lotta partigiana, si sono contrapposti coloro che hanno interpretato il massacro di civili come una risposta alle azioni militari delle bande. Per una corretta interpretazione di questo episodio della provincia grossetana non bisogna mai dimenticare che si trattò di una strage avvenuta nel marzo 1944, ben prima quindi della “ritirata aggressiva” tedesca, quando si accentuarono le stragi contro i civili in provincia, e che la responsabilità di tale fatto ricadde interamente sulle autorità fasciste repubblicane, quindi italiane, invitandoci ancora una volta a rileggere criticamente quello stereotipo dell’ “italiano brava gente”, sopravissuto troppo a lungo ed efficacemente contrastato dagli studi di storici quali David Bidussa e Angelo Del Boca.